Manituana

In Manituana, i Wu Ming operano uno spostamento di prospettiva straniante come quello indotto dalle carte geografiche che, invertendo l’alto con il basso, ci mostrano l’arbitrarietà del nostro punto di vista: le Americhe sono sottosopra, l’Italia è quasi schiacciata dalla massa dell’Africa e la Groenlandia si stende come un tappeto sotto l’Asia, mentre l’Australia continua a galleggiare in mezzo all’oceano, ma un po’ spaesata, perché non è abituata a guardare dall’alto il resto del mondo.
La prima scossa alla mitologia delle guerre indiane arriva subito: i Mohawk e le tribù delle Sei Nazioni Irochesi nel 1775, alle soglie della rivoluzione americana, erano più che “civilizzate”, anche per i criteri occidentali. Avevano negozi, alcuni di loro sapevano leggere, utilizzavano un sistema di leggi avanzato, adottavano tecniche di negoziazione raffinatissime. E non è un mistero che la costituzione americana abbia preso spunto dalla federazione che univa le nazioni indiane del nord-ovest. L’altra scossa arriva poco dopo: gli inglesi non sono tanto cattivi. In fondo, Re Giorgio aveva tutto l’interesse a mantenere un sorta di pax indiana, basata su un principio di alleanza in chiave antifrancese. Certo, i trattati stretti dai rappresentanti dell’impero con i sachem indiani spesso non venivano onorati, ma tra bianchi e pellirosse i rapporti erano improntati al reciproco rispetto.
La figura degli stronzi la fanno quelli delle colonie (i futuri americani), un’accozzaglia di violenti arruffoni: olandesi, tedeschi, inglesi, irlandesi, tutti insieme nell’impresa di gettare le fondamenta sanguinose dell’impero. La rivoluzione americana come lotta per il capitale, con gli indiani a fare da pedine, altro che George Washington che si fa cucire la bandiera a stelle e strisce. I Wu Ming, che credono nel potere del racconto, sanno dipingere un’epica alternativa, una mitologia rovesciata buttata in faccia a quella, fin troppo nota, degli americani detentori del copyright della democrazia.
In fondo la mossa del collettivo senza nome assomiglia a un tentativo di smontare quella che il grande studioso di miti Furio Jesi chiamava “Macchina mitologica”. Con questo termine, Jesi indicava il fenomeno per cui le narrazioni mitiche, uscendo dal dominio della religione, irrompono nella società e si annodano ai meccanismi di potere, producendo una verità distorta e filtrata che genera effetti devastanti. Come un organismo che si autoalimenta, la macchina mitologica assorbe pulsioni e sputa fuori credenze e finzioni mitiche, producendo allo stesso tempo nelle persone un ulteriore desiderio di mito e innescando così un circolo perverso. Mitologie deviate e riti vuoti sostengono la corsa verso le fiamme della politica – come nelle parate di Norimberga – o più semplicemente la deriva verso una società in cui la merce diventa l’unico feticcio e il complotto il principio paranoico dell’attribuzione di senso.
Alla macchina mitologica e all’uso del mito “tecnicizzato” e applicato alla storia politica come una specie di pulsione demonica, Jesi contrapponeva il mito genuino, vale a dire quello che, rimanendo confinato nelle narrazioni a sfondo religioso, poteva sostenere la creazione del legame sociale tra le persone. E in fondo, facendo risuonare l’eco distante delle danze e dei canti di guerra mohawk e mandando Philip Lacroix Ronaterihonte detto Le Grande Diable – che spacca teste con il tomahawk con la stessa dedizione con cui legge Rousseau e Voltaire – in trasferta nei vicoli scuri di una Londra tentacolare e già ballardiana, i Wu Ming oppongono il potere genuino dell’affabulazione e dell’avventura alla deriva funesta di quei miti che, dimenticandosi di essere storie, fanno della realtà un campo di battaglia. Mitologia della resistenza versus tecnocrazia del mito. Creste protopunk contro tricorni, Mitopunkologia contro Mitocrazia.

nota
Wu Ming 1 ha fatto riferimento a Furio Jesi in una lezione su 300 di Frank Miller che si può scaricare dal sito www.carmillaonline.com .
La lettura di Manituana si propone come vera e propria esperienza transmediale, grazie al sito www.manituana.com, che propone una miniera di materiali multisensoriali: trailer, mappe, cronologie, racconti, prolegomeni, immagini, suoni, musiche. E soprattutto un Livello 2 a cui si può accedere attraverso un indizio presente nel romanzo. Tutto questo per un romanzo che è molte cose assieme: resoconto storico, racconto d’avventura, epopea western, trattato politico, saggio sulla tolleranza ed esplorazione di mondi possibili.

di Nicola Gaiarin

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